Questa settimana la Young Reporter Viola Viteritti, per scelta tornata a vivere a Capraia a trent’anni, ci racconta la “sua” biblioteca nella Torre del Porto, l’antica torre di avvistamento oggi custode della cultura.
Crescere su un’isola è un’esperienza che non ha paragoni.
Se sei dotato di spirito libero e di sana arte di arrangiarsi, qualsiasi altro luogo sembrerà poi fin troppo comodo, se non confusionario. È un’opportunità che capita, non sempre la si sceglie, ma certamente è un segno che resta per tutta la vita.
Crescere all’Isola di Capraia significava per me, fra le tante cose, imparare a osservare, ad ascoltare, a vivere immersa in un luogo selvaggio. Ad aspettare senza avere fretta. Come un respiro, il traghetto collega alla terraferma, va e viene e porta con sé quanto necessario. Porta turismo, sostentamento e persino, a scadenza irregolare, libri – e non sempre novità di catalogo.
Da avida lettrice, il luogo dei libri era per me l’espositore bianco girevole all’esterno del tabacchino del Paese. Era quella la libreria, l’angolo da tenere d’occhio, il mio giornale sul mondo. Decidere di trasferirmi sull’isola a trent’anni e vedere realizzato il progetto di una biblioteca comunale mi ha toccata profondamente.
La biblioteca è stata creata all’interno della Torre del Porto, un’antica torre di avvistamento impossibile da non notare: appena si arriva all’isola, già dal largo, se ne intravede il profilo a strapiombo sul mare. La si nota anche per la sua peculiare forma: edificata dai genovesi nel 1516, quando Capraia era sotto la loro giurisdizione (nel secondo periodo, dall’inizio XVI secolo), ricorda molto un “tappo di sughero”. È l’emblema dell’isola, insieme al Forte San Giorgio, altra costruzione genovese per difesa dalle incursioni saracene.
Ben conservatasi nel tempo, è a pianta tonda. Conta un piano terreno di accesso, un primo piano – sorretto da ampie travi di legno su cui ancora si vedono le scalpellature a mano – e il ballatoio, la vedetta: una terrazza aperta, con paratie continue e una vista a 360° sul mare, l’isola e l’orizzonte.
Con le sue mura fatte di pietre, le stesse delle strade e degli edifici del Paese, è stata ristrutturata più volte, a partire dal cortile frontale, che oggi si presenta come un’ampia terrazza con vista sul porto e, dall’altro lato, sul Convento di Sant’Antonio e sul faro.
Sono in corso progetti di restauro anche per gli interni, che non sconvolgano la struttura né il fascino del tutto ancestrale che quella torre emana. Quando tira vento, per esempio, emette un armonioso suono metallico attraverso la sua scala. Sembra che canti, e non solo alle orecchie di un’appassionata dell’isola. La Torre del Porto ha una sua identità, un’energia gentile che infatti, da secoli, l’ha resa emblema del centro abitato.
All’interno, conta un pezzo unico: la scala che porta fino su in cima alla vedetta è a chiocciola, originale e intatta. La sua anima, il perno su cu si avvolge, è un albero maestro. Subito accanto, un altro mistero: un lungo bastone bianco, che pare una forcella, un palo per ingranaggi che a noi, purtroppo, non sono giunti. Se oggi la Torre non difende più dalle incursioni piratesche, sorveglia ancora la comunità dell’isola, custodendo libri e volumi, con un occhio di riguardo per il recupero della memoria storica e archivistica dei suoi abitanti.
In corso, la ricerca di un finanziamento per la costruzione di scaffalature ufficiali in armonia con il luogo e il suo fascino.