Paradiso dalle acque incontaminate nel cuore della Riserva della Biosfera Isole di Toscana, l’Isola del Giglio è per lo più caratterizzata da un territorio montuoso quasi interamente composto da granito. Dal granito gigliese sono state realizzate alcune delle opere d’arte più famose al mondo: il Pantheon a Roma, il Battistero a Firenze, la Torre di Pisa. Questa ricchezza, unita alla sua posizione strategica, ha reso l’isola oggetto di grande contesa nel corso della storia.
Di mano in mano: dagli Etruschi al saccheggio dei saraceni
Già scelta dagli Etruschi come probabile avamposto militare, l’isola del Giglio visse uno dei momenti di maggiore splendore sotto il dominio romano della famiglia dei Domizi Enobarbi e diventò un nodo marittimo fondamentale negli scambi tra le province, come dimostrano i relitti nelle acque antistanti l’isola: nel 1982 infatti è stato trovato il relitto di una grande nave oneraria romana rinvenuta a trentotto metri di profondità e a circa cento metri di distanza dal molo con il faro rosso, contenente varie anfore di tipo africano risalenti a circa la metà del III secolo dopo Cristo.
Nell’805 Carlo Magno donò l’isola all’Abbazia delle Tre Fontane, ma successivamente passò nelle mani di varie famiglie fino ad arrivare al comune di Perugia.
Dal 1264 il Giglio fu tenuto dai Pisani, gli autori della fortificazione di Giglio Castello: la Rocca Pisana.
Nei secoli successivi l’isola passò di mano in mano, subendo diverse dominazioni tra cui quella dei Medici di Firenze dagli inizi del XV secolo. Nel XVI secolo, con l’espansione dell’impero Turco, il Giglio conobbe il suo periodo più buio caratterizzato da invasioni e scorribande da parte dei pirati saraceni. Una delle più disastrose fu ad opera del pirata Khair ad-Din detto il Barbarossa: nel 1544 distrusse le mura allora esistenti, saccheggiò l’isola e deportò circa 700 abitanti.
Da questo evento trae origine uno dei più noti e amati prodotti tipici del Giglio, il panficato. Dopo la deportazione dei Gigliesi la famiglia dei Medici decise di ripopolare l’isola con alcuni abitanti di Siena che cominciarono a coltivare le terre e che diedero origine a questo dolce tipico, preparato con quello che l’isola offriva.
L’assalto finale e la fine delle invasioni
Le incursioni continuarono ma furono minori e fronteggiabili da parte dei Gigliesi grazie alla presenza di una guarnigione armata.
La parola fine alle invasioni fu pronunciata solo nel 1799, precisamente il 18 novembre quando duemila tunisini cercarono di assalire il castello: sbarcarono a Giglio Campese senza incontrare resistenza. Gli uomini della guarnigione nella Torre del Campese infatti, viste le navi e il numero degli invasori si arresero. Dopo il comportamento della guarnigione, i duemila tunisini cominciarono l’ascesa al castello credendo di aver già conquistato l’isola. Ma invece i Gigliesi tutti uniti, anziani e giovani, resistettero fino allo stremo, cogliendo di sorpresa gli invasori che non si aspettavano alcuna resistenza. Quest’ultimi tentarono un primo assalto ma furono respinti.
La svolta di San Mamiliano, patrono dell’isola
La tradizione racconta che la svolta si ebbe successivamente con l’invocazione di San Mamiliano, il patrono dell’isola. I Gigliesi, memori che il santo patrono aveva infuso nei loro antenati la capacità di respingere i turchi già nel 1452, lo invocarono nuovamente portandone la statua per le vie del castello. Poco dopo, un vento di rara forza si levò improvvisamente costringendo i turchi a ritirarsi nelle loro navi. San Mamiliano è tuttora protettore dell’isola e viene festeggiato il 15 settembre ogni anno.
Da questo momento inizia per l’isola un periodo più tranquillo, che favorisce la ripresa economica e demografica: il rifiorire dell’agricoltura, in particolare della viticoltura, e l’avvio delle attività di sfruttamento minerario.
In seguito alla chiusura della Miniera del Franco nel 1962, inizia lo sviluppo turistico del Giglio, oggi sua principale vocazione.
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Fonti : Giglioinfo.it – PDF Rossi Giovanni, consigliere comunale e titolare dell’Azienda Agricola “La Fontuccia ”